Finalmente,
mi libero dalla prigione in
cui sono nata.
Forse ero destinata a grandi
cose,
forse sarei stata in grado
di fare di più,
ma ora sono davvero certa di
non poterlo più scoprire.
Mi ritrovavo senza idee,
giudizi, dote,
ero una spugna che assorbiva
il male
e non riusciva a svuotarsi.
Mi fidavo ciecamente del mio
padrone
e invidiavo mio marito e i
suoi compagni,
sempre in burrasca,
rimpiangendo di essere
donna.
Rispondevo con riluttanza,
ma obbedivo
perché non c’era via di
scampo:
venivo protetta e dovevo
ricompensare.
Nei tempi più recenti il
castello appariva illuminato
e non si percepiva più il
terrore sulla pelle.
Mi lasciò confusa, durante
l’ultimo giorno.
Mi chiamavano vecchia a soli
trent’anni.
Sbeffeggiata e insultata da
tutti, ero brutta, sgraziata, vedova.
Io, che non ho vissuto,
mi abbandono con un ridere
rauco
a questo sollievo di morte.
AURORA
CORRADI
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