Sfoggio le mie scarpe nuove ed esco di casa. Gradino per
gradino, sulle scale del portone, mi accorgo di essere imbarazzantemente in
anticipo per i miei standard. Con una calma mai provata prima, inforco la bici
e arrivo a scuola senza rendermene conto. E’ presto ma a quanto pare la
campanella è già suonata.
Alzando lo sguardo dall’asfalto noto dettagli che credevo non
esistessero: mozziconi di sigaretta negli angoli più nascosti, il prato appena
tosato, il brusio tanto famigliare. La verifica del venerdì mi riappare davanti
agli occhi: un’infinità di biciclette aggrovigliate come emoglobina circondano
la scuola. Aggiungo la mia, e a poco a poco che mi allontano la confondo tra le
altre. Camminando tra i corridoi mi accorgo di quanto i bidelli siano passivi, i
loro visi cupi trasudano insoddisfazione, rassegnati a raggiungere il desiderio
di una vita migliore. Apro la porta e magicamente non c’è nessuno. Ho per caso
sbagliato aula? Capisco che la risposta è nascosta tra i banchi vuoti e nel
silenzio di una lavagna ancora pulita dal giorno prima. Posso finalmente
scegliere il posto che preferisco, e non sedermi nel primo che mi capita sotto
il naso. Guardo fuori dalla finestra e tutto sembra fermarsi.
Siamo in due: io e il tempo, quel tempo che mi sfugge sempre
di mano, che non è mai abbastanza per nessuno e che a volte è così bastardo. Inspiro,
espiro: non sono più materia, mi dissolgo tra le cose. Sono il gesso, la
cartina, l’orologio e le sue lancette… sono quella voce che mi riporta alla realtà.
Uno, due, tre… ed eccoci tutti e ventotto. Una famiglia di
zombie piena di aspettative e voglia di dormire, che anche al lunedì mattina
riesce a strapparmi qualche sorriso: a donarmi un motivo per cui vivere.
- Laura Stravaganti
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