Il telefono
cellulare era stato progettato al fine di migliorare le condizioni di vita del
singolo individuo concedendogli maggiore libertà e facilitando la comunicazione
a distanza.
Chi non può ricordare,
seppur nostalgicamente, che per fornire informazioni di qualsiasi tipo, un
tempo bisognava recarsi ad una cabina telefonica, inserire il gettone o qualche
moneta, digitare il numero e finalmente procedere con la chiamata?
Successivamente,
per rispondere al bisogno di contattare costantemente altri individui e allo
stesso tempo permettere a chiunque di poter compiere attività che richiedono
l’uso del pc, nacque lo smartphone,
il telefono intelligente.
Nonostante
questi oggetti possedessero le dimensioni di un telefono, convive(va)no nella
loro memoria le stesse funzionalità di un palmare e di un cellulare.
Solo
recentemente questi “supporti” costantemente sviluppati sono stati dotati anche
di applicazioni aggiuntive, possibilità di riprodurre musica, scattare foto e
girare video. Lo schermo da cristalli liquidi è diventato tattile (touchscreen) e ad alta risoluzione e
attraverso esso è possibile navigare sulla rete Internet, tra normali pagine
web e motori di ricerca appositamente creati per i dispositivi mobili.
Così, i primi
smartphone, messi in circolazione
agli albori del Duemila, si rivelarono un’importante cambiamento nella società
capace di modificare completamente le abitudini quotidiane e gli stili di vita
di ognuno di noi, dall’utente più giovane a quello più anziano.
Oggi lo
smartphone è principalmente utilizzato per condividere momenti invece che
per parlare con persone a lunga distanza; lo scopo principale del telefono
“solo per chiamare” è stato quindi snaturato e trasmettere informazioni a brevi
distanze non è più così rilevante.
In aggiunta,
dopo la nascita di questi oggetti, la libertà personale viene messa
continuamente in discussione attraverso applicazioni digitali a portata di
tutti, i “social media”: un passatempo
impegnativo che impiega il più delle volte i giovani a mettere in mostra le loro
foto con gli amici o della loro vita privata, rendendoli facilmente
riconoscibili, rintracciabili e controllabili da chiunque, indipendentemente
alla propria volontà.
Insorge
spontaneo un interrogativo: siamo davvero consapevoli del materiale che
diffondiamo sulla rete e fiduciosi negli utenti che possono visualizzarlo?
Tutto ciò che
è nostro rimane a noi finché non viene posto in rete: una volta che viene
pubblicato appartiene a tutti gli internauti della popolazione mondiale, circa
3,2 miliardi di persone.
Pensiamo al semplice
fatto che se spendiamo gran parte del nostro tempo sui social network studiando e commentando le foto dei vari utenti, vi
sarà anche qualcuno, dall’altra parte dello schermo, che guarderà i nostri
profili più o meno maniacalmente curati.
Alcuni tra
questi interagiscono con il nostro, rispondono agli appelli che lanciamo
lasciando “mi piace”, commenti e, talvolta, inviano messaggi privati; altri
invece preferiscono semplicemente visualizzare.
Ma azioni a
prima vista così ingenue possono rivelarsi un occupazione per i “giganti di
internet”, le compagnie digitali più note che vivono dell’arricchimento e delle
conoscenze degli altri utilizzatori della rete.
Esse,
osservando le nostre ricerche, i vari spostamenti geografici, i gusti personali
di ognuno di noi e i fatti accadutici di recente, riescono a schedarci e somministrarci
pubblicità di prodotti o di pagine social appartenenti alle nostre aree di
interesse.
È
d’obbligo, d’altra parte, rettificare che l’informatica aiuta anche a risparmiare tempo
in viaggi dove le indicazioni stradali fornite ci sono poco utili, può ricordarci
impegni importanti che potremmo dimenticare, possiede una tastiera digitale
qualora ci si dimentichi delle vecchie e (non) pratiche carta e molte altre
funzioni verso le quali, un tempo, bisognava fare affidamento singolarmente.
Se ora potessimo
tornare indietro nel tempo in un’ epoca nella quale nessuno disporrebbe di
dispositivi informatici, solo la nostra piccola cerchia di amici ci
conoscerebbe veramente, non potremmo più usufruire di una biblioteca ambulante
del sapere condiviso e non riusciremmo ad esprimere le nostre opinioni alla
velocità di un click.
D’altronde
questo ci porterebbe ad adattarci al nuovo stile di vita migliorando le nostre
capacità senza necessariamente dipendere da un apparato estremamente avanzato
che senza connessione e batteria non varrebbe nulla.
Possiamo
allora convivere con la tecnologia mantenendo una libertà personale e l’abilità
di relazionare con altri senza muovere le dita su una tastiera touchscreen?
La risposta è
sì se si possedesse abbastanza coraggio da tagliare il filo della comunicazione
a distanza, agevolando quella parlata.
Si dice che i
momenti migliori vadano vissuti, ma come possiamo sperimentare il gusto della
vita se preferiamo contemplare gli accaduti dietro una fotocamera analogica?
Noemi Masetti