venerdì 6 aprile 2018

Uno smartphone non dimentica mai


Il telefono cellulare era stato progettato al fine di migliorare le condizioni di vita del singolo individuo concedendogli maggiore libertà e facilitando la comunicazione a distanza.
Chi non può ricordare, seppur nostalgicamente, che per fornire informazioni di qualsiasi tipo, un tempo bisognava recarsi ad una cabina telefonica, inserire il gettone o qualche moneta, digitare il numero e finalmente procedere con la chiamata?
Successivamente, per rispondere al bisogno di contattare costantemente altri individui e allo stesso tempo permettere a chiunque di poter compiere attività che richiedono l’uso del pc, nacque lo smartphone, il telefono intelligente.

Nonostante questi oggetti possedessero le dimensioni di un telefono, convive(va)no nella loro memoria le stesse funzionalità di un palmare e di un cellulare.
Solo recentemente questi “supporti” costantemente sviluppati sono stati dotati anche di applicazioni aggiuntive, possibilità di riprodurre musica, scattare foto e girare video. Lo schermo da cristalli liquidi è diventato tattile (touchscreen) e ad alta risoluzione e attraverso esso è possibile navigare sulla rete Internet, tra normali pagine web e motori di ricerca appositamente creati per i dispositivi mobili.
Così, i primi smartphone, messi in circolazione agli albori del Duemila, si rivelarono un’importante cambiamento nella società capace di modificare completamente le abitudini quotidiane e gli stili di vita di ognuno di noi, dall’utente più giovane a quello più anziano.

Oggi lo smartphone è principalmente utilizzato per condividere momenti invece che per parlare con persone a lunga distanza; lo scopo principale del telefono “solo per chiamare” è stato quindi snaturato e trasmettere informazioni a brevi distanze non è più così rilevante.
In aggiunta, dopo la nascita di questi oggetti, la libertà personale viene messa continuamente in discussione attraverso applicazioni digitali a portata di tutti, i “social media”: un passatempo impegnativo che impiega il più delle volte i giovani a mettere in mostra le loro foto con gli amici o della loro vita privata, rendendoli facilmente riconoscibili, rintracciabili e controllabili da chiunque, indipendentemente alla propria volontà.

Insorge spontaneo un interrogativo: siamo davvero consapevoli del materiale che diffondiamo sulla rete e fiduciosi negli utenti che possono visualizzarlo?
Tutto ciò che è nostro rimane a noi finché non viene posto in rete: una volta che viene pubblicato appartiene a tutti gli internauti della popolazione mondiale, circa 3,2 miliardi di persone.
Pensiamo al semplice fatto che se spendiamo gran parte del nostro tempo sui social network studiando e commentando le foto dei vari utenti, vi sarà anche qualcuno, dall’altra parte dello schermo, che guarderà i nostri profili più o meno maniacalmente curati.
Alcuni tra questi interagiscono con il nostro, rispondono agli appelli che lanciamo lasciando “mi piace”, commenti e, talvolta, inviano messaggi privati; altri invece preferiscono semplicemente visualizzare.

Ma azioni a prima vista così ingenue possono rivelarsi un occupazione per i “giganti di internet”, le compagnie digitali più note che vivono dell’arricchimento e delle conoscenze degli altri utilizzatori della rete.
A permettere questo passaggio di dati in digitale apparentemente celati al pubblico, agiscono in prima linea i mezzi di comunicazione di massa, i comunissimi motori di ricerca e l’ ”innocuo” sistema di geolocalizzazione.
Esse, osservando le nostre ricerche, i vari spostamenti geografici, i gusti personali di ognuno di noi e i fatti accadutici di recente, riescono a schedarci e somministrarci pubblicità di prodotti o di pagine social appartenenti alle nostre aree di interesse.

È d’obbligo, d’altra parte, rettificare che l’informatica aiuta anche a risparmiare tempo in viaggi dove le indicazioni stradali fornite ci sono poco utili, può ricordarci impegni importanti che potremmo dimenticare, possiede una tastiera digitale qualora ci si dimentichi delle vecchie e (non) pratiche carta e molte altre funzioni verso le quali, un tempo, bisognava fare affidamento singolarmente.

Se ora potessimo tornare indietro nel tempo in un’ epoca nella quale nessuno disporrebbe di dispositivi informatici, solo la nostra piccola cerchia di amici ci conoscerebbe veramente, non potremmo più usufruire di una biblioteca ambulante del sapere condiviso e non riusciremmo ad esprimere le nostre opinioni alla velocità di un click.
D’altronde questo ci porterebbe ad adattarci al nuovo stile di vita migliorando le nostre capacità senza necessariamente dipendere da un apparato estremamente avanzato che senza connessione e batteria non varrebbe nulla.

Possiamo allora convivere con la tecnologia mantenendo una libertà personale e l’abilità di relazionare con altri senza muovere le dita su una tastiera touchscreen?
La risposta è sì se si possedesse abbastanza coraggio da tagliare il filo della comunicazione a distanza, agevolando quella parlata.
Si dice che i momenti migliori vadano vissuti, ma come possiamo sperimentare il gusto della vita se preferiamo contemplare gli accaduti dietro una fotocamera analogica?


Noemi Masetti